 |
|
Da sinistra: Ciro Ridolfini, Piero Pepe, Italo Celoro, Camilla Scala |
|
Si esibisce in questi giorni al Teatro Instabile,' in Via Martucci, riscuotendo calorosissimo successo, il gruppo di attori e cantanti di Castellammare di Stabia guidato da Ciro Madonna e già noto per avere allestito, quattro o cinque anni fa, un ottimo recital di Viviani. Il «Di Giacomo » che questi giovani ed entusiasti attori presentano, attraverso un collages di versi e di canzoni, punta particolarmente sugli aspetti realistici della poesia digiacomiana, con una scelta di testi nei quali circolano le idee sociali e la «protesta» meridionalista, idee e meridionalismo che in verità, in don Salvatore si tingono di un rosa assai sbiadito.
Pure, ad esempio, «O' Funneco verde» rimane un grido autentico, una esclamazione di sdegno che giustamente gli attori stabiesi hanno voluto mettere come distico all'inizio del loro spettacolo. Accanto al Di Giacomo poeta realista (ma sarebbe più preciso dire verista) c'è il poeta dell'amore, degli affetti stanchi, delle amarezze e delle delusioni, che è forse il filone in cui il poeta trova la maggior vena espressiva e la sua più alta misura di stile: «Amalia 'a Speranzella», « L' uva 'e contrattiempo », « A cchiù meglia farenare », «Lettera amirosa » «'Ncopp 'e cchianche 'a Carità», «Carcioffolà», «Mena me...» e tante altre canzoni e poesie, in cui circola, accanto all'abbandono agro-dolce dei sentimenti e dei risentimenti, una sensualità sottile, come uno slancio erotico rientrato.
Gli attori, tutti giovani e tutti in grado di cogliere l'intimo spirito dell'arte digiacomiana, recitano e cantano le sue poesie adeguandosi di volta in volta alle sfumature contenutistiche e alle sottili variazioni di umore del poeta. Tipico, in questo senso, il modo come Italo Celoro esegue la celebre «Serenata scumbinata»: macchietta difficile perché sul filo del più vieto folclorismo, che l'attore riscatta dandole un contenuto grottesco, amaro e disperato.
La prima parte dello spettacolo riunisce componimenti ispirati al mondo della strada, e la scelta è coerente fino alla poesia «A San Francisco», cade invece, e diventa pesante, e sproporzionata all'economia dello spettacolo, che fino a quel punto procede logico e spigliato, con «'O munasterio», un poemetto di gusto assai dubbio e per di più interminabile, che rompe il ritmo fino a quel momento molto sostenuto.
La ripresa invece è più varia e molto più gustosa, puntando, come fa, sulle canzoni (alcune delle quali abbiamo già citato) le più note e sperimentate e concludendo con l'incantevole «Era de maggio», che chiude lo spettacolo. Manca, nella scelta generale, il Di Giacomo paesistico e lirico, anche se qua e là vi è qualche accenno. Comunque l'insieme è organico e criticamente plausibile, anche tenendo conto che il regista più che presentare un’ antologia completa dell'opera di Di Giacomo (nel qual caso non avrebbe potuto ignorare certe prose, certi racconti e anche qualche brano tratto dalle sue «Cronache»), ha voluto allestire uno spettacolo di piacevole ascolto. Naturalmente principali artefici del successo sono i giovani interpreti, attori e cantanti . Essi sono ormai padroni della scena, come attori sperimentatissimi: cantano e recitano infatti con naturalezza e con gusto. Camilla Scala ha un cipiglio energico e una voce calda e intonata; Anna Spagnuolo è fresca, spontanea e popolaresca e s'avvale di un mezzo vocale di notevole vigore. Italo Celoro è attore smaliziato, sicurissimo dei propri mezzi d'espressione e molto duttile; Piero Pepe canta anch'egli con gusto e recita con molta misura. Ciro Ridolfini, il più appassionato ed impegnato, l'anima dei cinque, ha uno stile di recitazione di una efficacia assoluta. Da citare Enrico Forte, il pianista che commenta musicalmente tutto lo spettacolo. Del grande successo abbiamo già detto. Lo spettacolo si replica fino al 30 marzo.
Paolo Ricci |